Il sufismo (tasawwuf in arabo) è una dottrina la cui filosofia prevede la rinuncia ai desideri e alle attività materiali della persona, la quale deve impegnarsi per raggiungere la comunione con il proprio Dio.
La sua dimensione sociale, a differenza di quella religiosa, è stata negli anni poco approfondita. Un ordine sufi (ṭarīqa in arabo, ṭuruq plurale) implica infatti strutture organizzative, rituali, gerarchie e pratiche specifiche, che cambiano a seconda del contesto storico-sociale. Inoltre, il sufismo non può essere identificato esclusivamente con l’ordine; infatti, alcune pratiche sufi nelle società contemporanee si sono trasformate in pratiche devozionali, hanno incarnato aspirazioni, come quelle femministe, e si sono fuse con forme di cultura popolare contemporanea.
Dalla seconda metà del XX secolo, il sufismo sta inoltre vivendo un periodo di rinnovamento. Nuovi leader carismatici hanno stimolato il rinnovamento dei vecchi ordini sufi o ne hanno fondati di nuovi. La pratica si è altresì diffusa in Europa e Nord America.
Il sufismo ha svolto un ruolo fondamentale nell’intersezione tra politica e religione in Nord Africa per centinaia di anni. Gli ordini, fondati attorno a predicatori saggi e carismatici, hanno funzionato come gruppi di apprendimento e di pratica religiosa, focalizzati su incontri tra gli adepti e sul rendere omaggio ai loro santi protettori (marabutti) nelle zawiya, edifici dedicati all’educazione coranica e religiosa. Ogni zawiya è affiliata ad una confraternita sufi. La loro influenza politica, durante il periodo coloniale, è aumentata sia in Marocco che in Algeria – oltre che in Libia – poiché i francesi hanno tentato di emarginare politicamente le infrastrutture religiose più centralizzate (Algeria) e di estendere il controllo sulle aree rurali (Marocco). Più recentemente, le istituzioni di Rabat e Algeri hanno promosso il sufismo come contrappeso all’Islam politico e alla violenza delle ideologie salafite.
In Algeria i Sufi (così sono definiti i seguaci del sufismo) hanno partecipato, come partner politici, alla definizione della politica statale. Dopo la lunga emarginazione dagli anni ‘60 e i tentativi di repressione da parte degli islamisti negli anni ‘90, il sufismo è infatti riuscito a trovare posto all’interno del sistema statale algerino contribuendo a creare nuovi canali di comunicazione tra Stato e cittadini, impegnandosi attivamente nella vita politica, riuscendo anche a mobilitare risorse finanziarie a tali fini.
Sono diversi gli ordini nel paese, tra i più diffusi vi sono quello Alawiya e quello Tijdaniya. Nel corso della storia dell’Algeria, alcuni di questi hanno resistito alla cooptazione politica, mentre altri hanno stretto relazioni con il potere statale, come dimostrato dalla fatwa (parere legale su un punto della legge islamica) emessa dal Sindacato nazionale algerino di zawiya in occasione delle elezioni presidenziali del 2019: “Chiunque boicotta la tornata elettorale è un miscredente e nemico del popolo”. Anche in altre occasioni le zawiya sono state criticate per le loro posizioni filogovernative e per le critiche espresse nei confronti dei cittadini algerini che contestavano il sistema. Come già detto, tuttavia, non tutti gli ordini sufi sono allineati e lottano per cause politiche “impopolari”. In realtà, infatti, tali ordini non sono mai stati monolitici nei loro schieramenti, interessi e programmi.
La fondazione del Seminario nazionale di zawiya nel 1991 ha segnato una svolta nella storia dei rapporti tra lo Stato e le istituzioni sufi. L’agenda statale prevedeva allora la riabilitazione e la promozione del sufismo dopo tre decenni di repressione politica, emarginazione economica e stigmatizzazione sociale, con l’obiettivo di rafforzare la base sociale del regime e la sua legittimità religiosa. Le politiche di promozione del sufismo avevano due obiettivi. Il primo era quello di sostenere gli interessi politici interni del regime, usando l’immagine del sufismo e la legittimità religiosa dei leader sufi. In tal senso, l’appello alle zawiya poteva sembrare un ultimo disperato tentativo di riconquistare la religione, di “riciclare” le sue tradizionali istituzioni a immagine dello Stato. Il secondo scopo rientrava in una strategia internazionale: esportare una visione locale e nazionale dell’Islam – utilizzando le confraternite come attori diplomatici – per migliorare così sia l’immagine dell’Algeria che del misticismo islamico a livello internazionale.
Fuori dai confini nazionali, gli ordini sufi sono stati utilizzati dal potere algerino (ma anche da altri paesi) per costruire reti di influenza transnazionali. Anche in tale ambito emerge la forte rivalità regionale tra Algeria e Marocco. L’ordine Tijdaniya, ad esempio, con i suoi milioni di seguaci nell’Africa occidentale, rappresenta un importante risorsa. Inoltre, in Europa e nel mondo “occidentale”, il sufismo ha attualmente un’immagine molto positiva, associata al misticismo e all’Islam moderato. È quindi in corso un’interessante strategia di comunicazione politica, che cerca di identificare l’Islam nazionale in Algeria con i “valori” sufi. Il ruolo svolto dall’ordine Alawiya in Europa, dove è popolare e influente, è rappresentativo di questa tendenza.
Come parte del progetto di protezione, iniziato negli anni ’90, da parte del governo di Abdelaziz Bouteflika, sono stati organizzati “pellegrinaggi politici”, per quasi ogni grande campagna elettorale, in modo che il presidente e il candidato potessero visitare le zawiya algerine e assicurarsi di ricevere il loro sostegno. Molti politici, oltre al presidente, continuano tutt’oggi queste pratiche, qualunque siano le loro inclinazioni politiche. Quale esempio è possibile citare il caso di Chakib Khelil, ex ministro dell’Energia, esiliato negli Stati Uniti a causa delle accuse di corruzione, tornato in Algeria nell’aprile 2016. Al rientro, il politico ha intrapreso un tour delle zawiya allo scopo di liberarsi dalla cattiva immagine che lo accompagnava. Bouteflika era già molto malato nel 2016 e Khelil, uno dei suoi amici più cari, era un legittimo candidato alla sua successione.
Da quando Bouteflika è salito al potere nel 1999, lo Stato algerino ha sostenuto gli ordini sufi e incoraggiato una visione più “tradizionale” dell’Islam, spesso associata ai valori sufi. Dopo il conflitto civile e l’opposizione dello Stato ai movimenti islamici politici negli anni ’90, il governo algerino ha cercato partner apparentemente apolitici e docili che potessero contribuire a promuovere la stabilità politica del regime. Successivamente, con il moltiplicarsi degli attacchi terroristici “islamisti” a partire dagli anni 2000, e con il sufismo concepito come una forma di Islam tollerante e moderato, la politica filo-sufi è diventata una mossa strategica per i governanti attenti all’immagine del proprio paese nel mondo “occidentale” .
In questo contesto, il governo ha sponsorizzato ogni anno molte conferenze pro-sufi. Questi eventi hanno un’importante risonanza e valore per le comunità, locali e non. Modellati su conferenze accademiche internazionali, a questi incontri sceicchi, ma anche accademici e studiosi, vengono invitati a presentare documenti su varie questioni religiose e sociali. Lo scopo è quello di trasmettere i “valori di pace, alterità e universalità” del sufismo. E, al contempo, consentire ad Algeri di diffondere un’immagine positiva della sua politica religiosa sul palcoscenico nazionale e internazionale.
Mentre il sufismo come ideologia può avere un orizzonte limitato di espansione tra i giovani del Nord Africa a causa del bagaglio politico e delle connotazioni religiose, gli ordini sufi sono ancora un importante attore politico in alcune località dell’Algeria utile per diversi fini politici. In primo luogo, ampliare (o mantenere) la propria sfera di influenza e frenare le minacce allo Stato: gli ordini, specialmente nelle aree rurali, forniscono infatti legittimazione religiosa alle politiche statali, mobilitano elettori, frammentano gli attori locali dell’opposizione, aiutano a ottenere il consenso per un processo di riconciliazione e, in alcuni casi, fungono da canale per i servizi statali.
In secondo luogo, rafforzare la legittimità religiosa a livello nazionale. In Algeria, così come in Marocco, figure politiche cercano benedizioni e una patina di legittimità religiosa. Il caso già citato dell’ex ministro Khelil è rappresentativo di tale tendenza. Il suo tour è stato ampiamente deriso dalla variegata stampa algerina e persino alcune zawiya sono state ridicolizzate per averlo ricevuto. Il presidente Bouteflika si concentrava in particolare sulle zawiya in vista delle elezioni, facendo tournée in tutto il paese e fermandosi in ogni istituto lungo il percorso, mostrando deferenza agli sceicchi, rendendo omaggio ai mausolei dei marabutti, prima di fare grandi donazioni in denaro e chiedere espressamente il sostegno politico. Questa crescita dell’adesione a un ordine sufi come tendenza elitaria-politica contribuisce ulteriormente allo scetticismo giovanile nei confronti del sufismo. Di conseguenza, diversi ordini sufi si impegnano nella ricerca di incentivi politici e di rendite. Gli ordini competono per il patrocinio e le risorse, che sono distribuite selettivamente: costruire zawiya, dare copertura mediatica e assegnare ruoli politici nella politica interna (migliorando il turismo, il misticismo, il mito, l’occulto e il folklore) o nelle relazioni estere. È in questo ambiente che, ad esempio, in Marocco è sorto l’ordine Boutchichi come sostegno spirituale della classe politica, e un altro ordine, il Tijaniya, è stato incaricato di allacciare relazioni religiose con l’estero in entrambi i paesi. Ciò ha rafforzato le dinamiche in cui le figure politiche si uniscono per l’autopromozione e per segnalare la fedeltà al regime. Certo, è necessario sempre sottolineare come tutti gli ordini sono diversi, e sarebbe imprudente sostenere che tutti gli ordini sufi siano necessariamente strumenti politici o vengano cooptati dai rispettivi governi.
In terzo luogo, per enfatizzare i legami religioso-spirituali con il Sahel, e probabilmente anche consolidare l’egemonia sulla regione a discapito degli altri attori. Laddove l’Algeria è stata a lungo la potenza militare, economica e diplomatica di riferimento in Africa nordoccidentale, il Marocco è stato concorrente, per varie ragioni, allo scopo di migliorare le relazioni con il Sahel e i paesi dell’Africa subsahariana. A tal fine, molti degli sforzi spesso sottolineati dal Marocco per diffondere il suo marchio di “Islam marocchino moderato” in tutto il Maghreb e il Sahel dipendono sia dalla centralità del re marocchino, sia dalle reti sufi condivise attraverso la regione. La creazione in Algeria nel 2013 della League of Sahel Ulemas enfatizza in modo simile la storia sufi condivisa tra Algeria e Sahel nelle sue iniziative di educazione religiosa per studenti del Sahel e dell’Africa subsahariana. Questa dinamica deve anche essere intesa come una contesa tra Marocco e Algeria per l’influenza sulla regione, esemplificata, in parte, dal disaccordo tra marocchini e algerini sul luogo di nascita e sede dell’ordine transnazionale di Tijaniya ( che il Marocco sostiene essere a Fez, mentre l’Algeria sostiene essere ad Ain Madhi).
Infine, la promozione del sufismo come panacea contro l’estremismo ha attirato l’attenzione dei governi occidentali e ha aiutato i paesi del Maghreb a candidarsi come partner fondamentali nella guerra contro il terrorismo. Mentre il passaggio dalla violenta repressione dei sufi alla loro cooptazione è iniziato negli anni ‘90 per scopi politici interni, le opportunità di rendite geopolitiche si sono manifestate dopo l’11 settembre 2001 e la successiva “Guerra al terrore” guidata dagli Stati Uniti. Tali dinamiche hanno avuto l’effetto accessorio di consentire ad alcuni governi nordafricani di rimandare le riforme politiche e le liberalizzazioni in nome della lotta al terrorismo e della difesa della stabilità. Di conseguenza, la governance democratica è stata ampiamente trascurata.
Gli ordini sufi hanno tutt’oggi influenza nella politica algerina, ma le sfide alla loro credibilità morale stanno aumentando e si approfondiranno nel prossimo futuro. Sotto Bouteflika un numero apprezzabile di zawiya ha visto la propria impronta espandersi nell’agorà politico e culturale. Influenti sceicchi sufi hanno trovato nell’ex presidente un partner affidabile per portare avanti le loro attività spirituali, i programmi sociali e le attività economiche. Ma i loro intrecciati rapporti politici, e il sostegno a cause impopolari, hanno alienato una popolazione sempre più giovane e urbana. Hanno anche causato angoscia all’interno di alcuni ordini sufi i cui aderenti trovavano preoccupante un allontanamento dalla vocazione religiosa e dalle funzioni caritatevoli e sociali.
L’inizio del movimento antisistema, noto come Hirak, che ha portato alla caduta di Bouteflika, è stato un avvertimento anche per gli ordini sufi. La sfida oggi è come bilanciare le loro attività religiose, culturali e sociali con l’impegno politico. I sufi si trovano ad affrontare lo stesso dilemma che devono affrontare anche altri attori religiosi e sociali del paese. In un contesto autoritario in cui gli incentivi materiali per promuovere politiche di regime dall’alto verso il basso sono significativi e i rischi per chi decide di opporsi allo Stato sono alti, diversi ordini sentono di non avere altra scelta che quella di seguire la linea fin qui adottata.
Le elezioni presidenziali del 2019 hanno mostrato quanto sia difficile ritirarsi dalle controversie politiche o resistere dall’essere cooptati dal potere politico. Per la prima volta nella storia delle elezioni algerine, quattro dei cinque candidati che si contendevano la presidenza hanno deciso di lanciare la loro campagna elettorale a partire dal sud del paese, ad Adrar, dove è presente l’influente zawiya dello sceicco Mohamed Belkhebir. I candidati hanno attribuito la scelta del luogo all’importanza e all’influenza dell’ordine nel Sahara algerino. Abdelmadjid Tebboune, che ha vinto le elezioni, contestate e impopolari, ha anche arruolato zawiya per sostenere le sue iniziative politiche mentre, al contempo, continuava il sostegno finanziario selettivo avviato del suo predecessore. I gesti di clientelismo selettivo di Tebboune continueranno probabilmente a costituire parte della strategia del sistema per ostacolare il persistente movimento di protesta e prevenire l’emergere di forze sociali credibili che possano minacciare la sua presa sul potere. In tale contesto, il ruolo dei sufi continuerà ad essere rilevante ai fini di un controllo territoriale da parte del governo.
Mario Savina